IL COSTUME DI CICONICCO

 

Un esemplare del costume femminile in uso a Ciconicco intorno alla fine del secolo passato, fu raccolto, una cinquantina di anni fa, da Lea D'Orlandi e Gaetano Perusini nel corso delle ricerche che questi esperti di cultura tradizionale conducevano al fine di illustrare le fogge e le trasformazioni del costume che si diversificano nelle varie zone di cui si compone il Friuli, pur presentando quegli elementi comuni che permettono la definizione di "costume friulano".
L'esemplare che figura insieme con gli altri della nostra regione nel "Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Udine", proveniente da Ciconicco ha permesso di realizzare, a illustrazione del paese, la bambola che dà occasione a questa pagina.
Quel costume non è tipico soltanto di Ciconicco e della zona prossima che sta al limite della fascia meridionale delle colline moreniche, ma riguarda la media pianura che si stende tra il Torre e il Tagliamento.
Esso è illustrato in uno studio condotto da Gaetano Perusini e Gian Paolo Gri su documenti d'archivio (inventari che accompagnano i patti dotali o taluni atti giudiziari riguardanti gente di media condizione: contadini arti giani, mercanti) e comprende i secoli che vanno dall'inizio del XV (1411), alla fine del XVIII (1798).
Attraverso le carte che s'infittiscono nel tempo si segue non solo l'evolversi del modo di vestire, ma i mutamenti delle condizioni del vivere che contribuiscono a determinarlo.
L'entità della dote, del corredo che le donne portavano a marit può essere seguita mentre si arricchi sce tra il XV e il XVI secolo: aumenta il numero dei capi e, accanto alla lana, mezzalana, bavella, cioè alle stoffe di produzione locale e di tessitura domestica, figurano, negli inventari, panni importati di maggior pregio (ostadin, saia, zambellotto, mocaiaro) e tele fini di lino e seta (renso, ormesin, candia).

Costume femminile in uso a Ciconicco alla fine del secolo passato
Lungo il Seicento, nel costume, va consolidandosi quella forma che, con variazioni che riguardano il tipo dei tessuti e taluni particolari anche vistosi, si fissa e dura fino al tardo Ottocento: l'abito è costituito: dal corpetto (bust, bustìn, cas) con maniche staccabili, dalla gonna (còtule) non necessariamente uguale al vestito; stoffa e colore erano diversi, solitamente vivaci; un abito festivo era guarnito con passamanerie o con rifiniture di raso, velluto, ormesino, e aveva, come elemento necessario la camicia (cjamése) che non era solo un capo di biancheria: infatti essa completava il bust nella versione estiva e festiva con le maniche e la parte che usciva dalla scollatura.
Di canapa o cotone grezzi per l'uso quotidiano, era adorna di ricami e pizzi operati sul lino, quando si accompagnava al vestito della festa; durano fino alla scomparsa del costume le maniche ricche della camicia, mentre è scollata o chiusa a seconda dei periodi e della moda che, da lontano e in ritardo, influenza l'abbigliamento popolare.
Capo sempre presente è inoltre il grembiule (grimal, grumal) bianco fino al secolo scorso e ricamato o abbellito come i vari tipi di fazzoletti da testa (pièce, fazzolét) e da spalle; nel tempo che si avvicina al nostro secolo, al lino e alla tela bianchi subentrano tele colorate o stampate di cotone e seta; esse ravvivano gli abiti che, lungo l'Ottocento, sono di preferenza scuri.
Le calze a maglia di lana o cotone compaiono tardi (la prima testimonianza di "un par di scufoni overo calcette di guchia"nella zona della Media pianura è del 1641); gli scufoni in uso da più secoli erano uose di stoffa che coprivano la gamba e furono soppiantati, nell'uso generale, dalle calze in tempi relativamente vicini.
Raramente si rileva negli inventari la presenza delle scarpe mentre si calzavano tipi diversi di zoccoli, con la suola di legno e la tomaia di pelle, oppure pianelle.
Il costume di Ciconicco che si conserva - si è già detto - al Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Udine presenta la foggia che era andata fissandosi nel corso dell'Ottocento: i colori sono scuri; di tela stampata bleu a piccoli disegni bianchi, è il vestito; nero con fiori color fucsia il grembiule di seta, nero con motivi floreali di varie tinte il fazzoletto da testa grande e frangiato secondo l'uso della seconda metà del secolo; di seta cangiante è il fazzoletto da collo che, con le maniche candide della camicia, ravviva il costume (riprodotto nella bambola, la pipìne di Cicunìns).
Una diligente ricerca condotta nel 1991 da Serena Martinis si avvale della testimonianza di sette donne nate tra il 1896 e il 1916; esse si riferiscono ai loro ricordi o a quello che hanno appreso dalle madri intorno al vestire dell'epoca precedente l'adeguamento alla moda che si verifica con una certa gradualità nei primi decenni del secolo.
I risultati dell'indagine, la raccolta di alcuni capi superstiti permettono di fare alcune osservazioni: il corpetto (bust, gjachetin, bluse, forse baschìne) e la gonna (còtule) durano a lungo specie tra le persone anziane che consumano gli abiti che hanno sempre portato; la biancheria su le piél (intima) che contemplò a lungo soltanto la camicia (anche nel vestire maschile) comincia ad annoverare anche le mutande che
furono nei secoli scorsi un capo di lusso, sconosciuto presso le classi meno agiate. Le camicie raccolte mostrano la tra sformazione, avvenuta, nei tre primi decenni del Novecento, nella funzione e nell'uso di questo capo che scompare come elemento dell'abito ormai adeguato alla moda, perde le maniche, si riduce a capo di biancheria
destinato a scomparire.
I dati della piccola ricerca condotta tra Ciconicco e i paesi circostanti, sono significativi malgrado la inevitabile dispersione, nel tempo, del patrimonio affidato alla memoria. Un settore che meriterebbe particolare attenzione è forse quello delle calzature a cui si è già fatto cenno; nel racconto delle informatrici compaiono las cicules, i mulòz, ossia pianelle con la suola di legno o cuoio e la tomaia di pelle, aperti o chiusi sul davanti, ingentiliti a volte da motivi; erano usate anche las dàlmines di legno, gli scarpéz di velluto e, più raramente las scàrpes, i polàcs. (scarponcini).
La nomenclatura delle calzature è varia come quella dei capi di vestiario rilevata nella ricerca che si estende anche ad elementi propri dell'abbigliamento maschile e infantile, ridotto quest'ultimo sia in fatto di vesti che venivano recuperate da quelle degli adulti, sia in fatto di calzature, ciculutes e staféz eliminati nella stagione calda quando i piccoli e anche i grandi andavano scalzi, a talpe di cjan. La varietà dei termini con i quali i signoli capi vengono chiamati, la loro forma, i materiali con cui sono fatti, differiscono sia per motivi di tempo (l'età delle informatrici e quindi l'epoca dei riferimenti) sia per motivi di spazio: tra un paese e l'altro distanti pochi chilometri esistono divari anche notevoli nelle costumanze come nelle parlate.
I motivi che emergono anche attraverso un discorso sommario come questo, giovano alla conoscenza del paese, della gente che aprì e concluse in questi luoghi la propria vicenda umana: gli aspetti del vestire ritraggono la severità e la durezza di un vivere che ai giovani può quasi apparire inventato; per i vecchi fu esperienza ed è segno che merita di non andare disperso.