NARCISO DI PRAMPERO, PRETE DI CICONICCO NELA META' DEL XVI SECOLO

Nella vita religiosa e culturale del Friuli, intorno alla metà del secolo XVI, si manifesta in maniera sempre più evidente il progressivo diffondersi di un movimento di dissenso dalla tradizione cattolica ufficiale.
Sorto immediatamente dopo l'avvento della riforma, si era accentuato alla metà del Cinquecento fino ai cercare una propria espressione in trattati di carattere teorico.
Una lunga serie di ricerche brevi e di studi di più largo respiro hanno contribuito a definire nella sua genesi e nei caratteri fondamentali quel singolare dissenso che contrassegnò la vita religiosa in Friuli attorno a quel periodo.
Il dissenso religioso in terra friulana conobbe, nel ventennio tra il 1540 e il 1560, il momento della sua massima espansione.

Diffuso un po' ovunque, ma soprattutto nei piccoli centri urbani: da Pordenone a Spilimbergo, a Udine, mostrò una vivacità ancor maggiore o Gemona e Cividale, come dimostrono alcuni documenti recentemente trovati. La breve opera "Specchio de verità", scritto dal sacerdote udinese Narcisso Pramper, nel 1560, esprime al vivo i contenuti dottrinali attorno al quale si accendevo il dibattito religioso nel Friuli di quell'epoca.
Questo trattato ha come sfondo il problema della natura e dell'efficacia dei sacramenti, ed incentra la proprio attenzione sulla Messa.
L'opera originale, non composta in Friuli, si trova presso lo Biblioteca Palatina di Vienna.
L'ambiente storico in cui si inquadra la vicenda di questo prete è il Friuli, alla metà del Cinquecento.
Diviso in due circoscrizioni ecclesiastiche: Aquileia e Concordia, era politicamente soggetto al dominio della Serenissima e, per uno piccola fascia a quello degli arciduchi d'Austria.
Con una economia prevalentemente agricola, che creava larghe sacche di povertà, non poteva esprimere una vitalità sociale intensa, ma la cultura, limitata ovviamente a piccole sacche era assai vivace.
Nonostante la ricchezza di fonti archivistiche, risulta abbastanza difficile comporre una biografia ordinata e completa di Narciso di Prampero.
Le notizie che si possono desumere sembrano lasciare volutamente in ombra taluni dei momenti più significativi della sua vita.
Nacque certamente nella cittadina di Udine, ma non si conosce la data esatta, probabilmente tra il secondo e il terzo decennio del Cinquecento.
Ancor molto giovane, scelse lo stato clericale e si preparò ad essere prete.
Il primo dato certo lo si può dedurre da un documento dell'archivio capitolare di Cividale.
Il 10 febbraio del 1543, infatti, Narciso di Prampero si presentò dinanzi al Capitolato collegiato di Cividale per chiedere che gli venisse concesso l'investitura canonico del beneficio curato dei paesi di Ciconicco, Ruscletto e Plasenzis, vacante per rinuncia.
La curazia, come tutta la pieve di Fagagna, dipendeva dal Capitolo cividalese, fin dallo metà del Duecento.
La richiesta potrebbe sembrare piuttosto insolita poiché veniva fatta da un candidato che non era ancora sacerdote.
Questi però si era presentato munito di una dispensa papale che lo rendevo idoneo o diventare titolare di un beneficio ecclesiastico.
La domanda era motivata anche dalla situazione familiare che era di estrema povertà.
Il vice decano del Capitolo glielo conferì nello stesso giorno, con la sola condizione che si fosse fatto ordinare sacerdote quanto prima. Nella lettura di nomina, il nuovo beneficiato viene definito come uomo di grande probità di costumi, ricco di doti umane e, soprattutto, ancor molto giovane, il che lasciava sperare per lui che sarebbe diventato
un prete capace per il posto affidatogli.
Due aspetti vanno sottolineati: la povertà dei suoi mezzi economici e l'evidente appoggio esterno di personalità influenti.
Il periodo più misterioso della sua vita resta quello che intercorre tra il 1544 ed il 1558.
Un quindicennio durante il quale il suo nome compare con una frequenza impressionante nei registri e negli atti curiali aquileiesi, sotto forma di reclamo, di protesta, di intentato processo, di scomunica minacciata.
Tutti gli interventi erano motivati però non da atteggiamenti o posizioni contrati alla fede o alla morale, ma dal fatto che aveva il vezzo di contrarre debiti ovunque e con tutti.
Di condizioni economiche modeste, spendeva continuamente: al gestore di una piccola locanda di Ciconicco doveva ben cinquantacinque ducati perché era solito inviarvi, come ospiti, la propria madre, il fratello e perfino la serva.
La contesa maggiore se l'era procurata con un nobile cavaliere, cittadino di S. Daniele, Francesco Stella, al quale aveva chiesto in prestito una somma notevole di denaro, ovviamente senza restituirlo.
In seguito a questa vicenda il di Prampero, citato dinanzi al tribunale civile, era stato scomunicato ed incarcerato. Egli era però riuscito a rompere le porte del carcere ed a fuggire.
Alla luce di questi avvenimenti, il di Prampero sembrerebbe piuttosto un avventuriero che un sacerdote in cura d'anime.
Forse però in questo periodo così tormentato egli prese contatto con qualcuno degli esponenti della Riforma protestante che circolavano con una certa frequenza in Friuli.
Fuggito dal carcere, riparò nella vicina diocesi di Concordia; ma lo Stella lo citò dinanzi al tribunale vescovile di quella diocesi, riuscendo a far emettere dal vicario un decreto di carcerazione.
Il di Prampero allora, si rivoltò contro questa delibera che gli pareva del tutto ingiusta, e presentò un ricorso alla Curia concordiese con la minaccia di adire al Legato Pontificio in Venezia, a qualsiasi tribunale ecclesiastico, ivi
compreso quello della Sede Apostolica.
E certamente sorprendente l'atteggiamento di questo prete che da anni veniva perseguitato dinanzi ai tribunali. Evidentemente contava amicizie influenti sia negli ambienti della nobiltà laica, come in quelli più elevati del mondo ecclesiastico.
Questo fatto spiega anche il perché, nel decennio precedente, egli sia riuscito ad evitare una condanna definitiva ed a fuggire addirittura dalle carceri patriarcali.
Il 1557 segnava però una pagina importante per la vita ecclesiastica nella diocesi d'Aquileia: a Luca Bisanti successe un nuovo vicario, Jacopo Marocco, al quale stava a cuore in maniera assai più profonda la vita religiosa che egli si proponeva di guidare soprattutto attraverso la riorganizzazione del tribunale inquisitoriale che avrebbe dovuto vigilare sulla ortodossia.
Proprio agli inizi della attività riformatrice del Marocco, Narciso di Prampero venne definitivamente condannata in contumacia,il 17 marzo 1558.
Il testo dello condanna è generico, tuttavia pare che essa sia stata determinata dalle pendenze economiche nei confronti dello Stella più che da sospetti di carattere religioso, legati alla sua adesione alla eresia.
Poco più di un anno dopo, il sacerdote, fortunosamente fuggito dal Friuli, era riparato nei paesi dei riformati dove compose, quasi immediatamente, la sua opera: Specchio della verità.
È evidente che egli aveva già in precedenza meditato lungamente sulle idee della riforma e le aveva fatte proprie soprattutto per ciò che concerneva il sacramento dell'eucarestia e la celebrazione della Messa.
Le ultime vicende della sua permanenza in Friuli: l'incriminazione per eresia, la cattura, la carcerazione, la condanna alle galere veneziane, la prodigiosa liberazione e lo fuga vengono narrate da lui stesso, in una delle pagine più accese e drammatiche dell'opera.
Dopo il 17 marzo 1558, quando venne condannato in contumacia, egli fu arrestato e messo in carcere, legato con catene e sottoposto al più completo isolamento.
Il vicario Marocco tenne lontani tutti i parenti, non solo, ma rifiutò di concedergli l'avvocato difensore e di trasmettergli gli atti processuali in modo che potesse imbastirci su una difesa.
Lo minacciò continuamente di tortura finché lo condannò alle galere.
Durante la notte fu trasportato su un carro di contadini fuori dalla città di Udine dove il vice cancelliere della Curia gli lesse lo sentenza di condanna.
A questo punto però si verificò il fatto miracoloso: le catene che lo avevano legato si sciolsero ed egli riuscì a fuggire.
Raggiunse lo città di Caorle sulla sponda dell'Adriatico e di li passò nelle terre dei riformati.
La drammaticità del racconto non ha certamente lo stretto valore di una narrazione storica ma, probabilmente, dipinge lo stato d'animo degli eterodossi friulani perseguitati dalla inquisizione.
Stando o questo racconto, il processo non sembra essere stato celebrato secondo gli schemi abituali del S. Officio di Aquileia e Concordia, ma piuttosto con una certa fretta di concludere la vicenda con una condanna esemplare nei confronti di un personaggio pericoloso e assai scomodo.
La fuga del di Prampero fu un fatto veramente clamoroso non perché, come egli asserisce, gli si sciolsero "miracolosissimamente" i ferri ai quali era legato, ma perché riuscì a sottrarsi alla custodia di una ventina di sbirri armati di alabarde.
Quella liberazione fu realizzata evidentemente con la complicità di persone amiche e sicuramente potenti.
Sulla base di alcuni documenti d'archivio, si può ipotizzare che lo fuga sia avvenuta tra la secondo metà e lo fine dell'anno 1558.
Dove sia fuggito non lo si sa, certo è che raggiunse uno dei gruppi fuorusciti italiani per motivi di eresia e andò in un paese dove non si parlava la lingua italiana.
Poco più d'un anno dopo, aveva già composto il suo trattato "Specchio de verità" che porta la data del 1560.
La brevità del periodo da lui impiegato nella elaborazione del lavoro fa sospettare che avesse usato, come traccia, un'opera già edita in precedenza e posseduta dalla biblioteca nazionale di Firenze, che aveva come soggetto la Messa.
Il trattato che Narciso di Prampero afferma di aver composto nell'anno 1560, consta di 122 fogli manoscritti.
Le caratteristiche fondamentali del trattato si vanno delineando fin dal suo avvio.
Il di Prampero di propone, sulla base di un confronto serrato e continuo con i testi della Scrittura, di dimostrare come la Messa, nel rito cattolico, fosse un vero mistero di iniquità.
Il trattato del di Prampero costituì il primo serio tentativo di propagandare anche in Friuli i contenuti più specifici di un ampio dibattito religioso che si era svolto nei circoli più radicali della emigrazione italiana in Svizzera.
Un tentativo, comunque, che pare sia fallito sul nascere perché l'unica copia integrale dell'opera del di Prampero rimase nella biblioteca di Vienna.
Mai invece compare un accenno a questo libretto nei processi inquisitoriali che si succederanno in Friuli per oltre un secolo.

 

Tratto da "Narcisso Pramper da Udene: un prete eretico del cinquecento" di Luigi De Biosio.